|
Anche di questa Commedia dovrò ripetere quello che ho detto delle altre quattro. A chi intende la lingua nostra, farà un effetto; a chi non la capisce, ne farà un altro. Gioca principalmente in essa un Personaggio chiamato Musa, e per soprannome Abagiggi, perché soleva vendere in Venezia un certo frutto così nominato, che nasce nel Levante, e secco a noi si trasmette.
Costui vestiva da Armeno, con barba, ed era personaggio ridicolo, noto a tutti in questa nostra Città. Appena videsi comparire in scena una figura a lui simile, e si sentì il nome cognito d' Abagiggi, il popolo trovò motivo di ridere, e dal dispregio in cui avevasi cotal uomo, risaltavano le smanie di Checchina, che si voleva per equivoco fosse sua figlia, e quelle di Beppo, che dovea prenderla per isposa.
Si è procurato, come nell'altre, di spiegar i termini più sconosciuti colle annotazioni, ma anche questa Commedia parmi che meriti la conversione in Toscano, per essere, quantunque breve apparisca, forse la più regolare, e secondo i precetti e gli esempi, la più ragionevolmente condotta.
Quando io la composi, pensai a volerla corta, perché dovesse servire l'ultima sera del Carnovale. Piacque a tal segno, che negli anni seguenti la volsero moltissime volte replicata. Provai allungarla, ma vidi che l'avrei facilmente guastata, onde anche perciò m'accorsi che era opera nel genere suo finita; e mi consolai moltissimo, che dopo quindici Commedie scritte in un anno, la decimasesta riuscisse ancor tollerabile. |
|